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"Ciao, finito il latte. Domani non ci sono, lasciami 2000 euro , mio cognato non vuole più aspettare. Ah, la cravatta blu che ti ho regalato, che ti piaceva tanto, mi dispiace ma non riuscivo a slegarmi e l’ho dovuta tagliare. Baci".
Ziiiiiii dop, silenzio, ziiiiiii dop, silenzio. Mi annoio, capitano anche queste giornate, anzi, a dire il vero sono la maggior parte, in cui per molte ore non passa nessuno dei due, e l’unica soluzione è contare i secondi tra il silenzio e lo ziiiiiii dop. Anche se sembra assurdo, provo quasi un senso di solitudine.
Ops, è arrivato lui.
Maionese, wurstel, birra da 66cc, mousse di cioccolato e scatola del caffè per dopo. Che poi 'sta cosa che mi conserva il caffè qua, invece che nello stipetto in alto, non l’ho mai capita.
Mi sbatte addosso il suo diritto di replica.
A pensarci bene, non ricordo l'ultima volta che li ho visti insieme.
Intanto passano le ore, non so quante. Non so neanche quanti ziiiiiiiiii dop.
Mi apro. Latte scremato, fiocchi di latte scremati, papaya e succo di pompelmo senza zucchero. È la sua colazione tipica, sempre ossessionata dalla linea.
Legge il messaggio, lo appallottola e lo getta per terra con violenza e disprezzo. Prende un altro post-it, una penna e si mette a rispondere. Ahio! Mi lascia in consegna il suo biglietto per la giornata.
"Coglione tu che hai creduto all’affare delle quaglie australiane. Il frigo è quasi vuoto, mi viene l’ansia ad aprirlo, sabato dobbiamo fare spesa. Ciao."
Quasi vuoto? Per favore non tocchiamo questo tasto. Lo ricordo bene l'inizio di questa faccenda. Loro che si aggiravano per casa come due ragazzini delle elementari, coi loro giochetti, i loro scherzi, le loro stupide ma romantiche smancerie. Io ero sempre pieno, strabordante, pronto a servire energiche colazioni, pantagruelici pranzi, squisitissime cene. Il mio essere pieno, amavo pensare, era il beneaugurante simbolo del loro felice idillio.
Poi hanno iniziato a trascurarmi e le cose, per loro, non potevano far altro che precipitare.
Contenti loro.
Per il resto del pomeriggio non si sono fatti vivi. Gli scarafaggi hanno approfittato della situazione per trasferire le stoviglie al posto delle vettovaglie, e viceversa, poiché gli scaffali in alto garantiscono una maggiore riservatezza.
Non ho notizie di loro per tutta la sera. Al mattino, sul presto, è lei che mi apre. Ha la faccia gonfia e rimmel sulla guancia, è andata a letto senza struccarsi. Sbraita: è finita la papaya.
Dopo mezz’ora è di nuovo qui davanti che con l’indice si infila un tacco 12.
"Scommetto che stanotte ti è piaciuto, ma cerca di farti la doccia un po’ più spesso, e lavati meglio là sotto! sembrava di stare in un sushi bar. Non abbiamo avuto tempo di dirci nulla, una volta fatto tutto, ti sei addormentato subito. Mio cognato ti sta cercando: o gli dai i soldi o racconta a De Girolami che fine ha fatto quella ragazza.
P.s. Alla lista della spesa aggiungi la papaya".
Quasi le 12, arriva lui, mi scruta indeciso: colazione ritardata o pranzo anticipato? Fortuna per lui che ho poco dentro, così si arrangia con uova e prosciutto e quella bottiglia di vino aperta a capodanno.
"Le tue perfide insinuazioni non meritano risposta. Tuo cognato non ce le ha le palle per dire tutto a De Girolami, e se non fosse per te me ne sbatterei totalmente di lui e dei suoi 2000 euro. Comunque ieri mi hanno parlato di un giro di collant cinesi piazzatissimi, dammi due settimane e rientro con gli interessi. Domani spesa, non c’è più un cazzo di niente. Ah, pensa un po' alla palestra, il tuo culetto sta diventando flaccido".
Un giorno di quiete, forse due. Difficile stabilirlo quando non alzano neanche le tapparelle. Mi godo qualche ora di riposo, anche se non è facile con il ronzio del mio inverter. L’ultimo biglietto è di questa mattina:
"Mio cognato ha detto tutto a De Girolami. Altro che quaglie, altro che 2000 euro, non te ne basterebbero 200mila per tirarti fuori da questo casino, così impari a sballarti con quelle troiette.
E ti sei pure dimenticato la papaya, stronzo!"
I pomeriggi sono sempre più caldi, ed io non basto a rinfrescarmi. Un avanzo di fontina che è in fondo al secondo ripiano da circa due mesi mi parla della sua infanzia, delle splendide giornate passate in alpeggio. Due palle così. Caldo torrido e le solite storie già sentite migliaia di volte.
All'improvviso scorgo un’ombra in terrazzo. È il vicino. Ha scavalcato la ringhiera che divide il balcone della nostra cucina da quello del suo bagno. Se lo tira fuori e comincia a pisciare sulle piantine di menta. Il prossimo mojito che quei due decideranno di farsi sarà particolarmente interessante. Cercherò di non ridere, ma sarà difficile.
Rumori dalla porta d’ingresso, il vicino rientra velocemente nel suo appartamento.
"Tro-ia! Sei una tro-ia!"
"E tu un finocchio! E c'hai pure il cazzo piccolo!"
Poi sento un rumore, un botto improvviso, come se lei gli avesse gettato le scarpe contro, mirando dritto al naso, ma lui le avesse abilmente schivate, facendole andare a schiantarsi contro il finto noce della porta del salotto.
Il lampadario dell'ingresso mi confermerà in seguito essere andata proprio così.
"Ma che cazzooo faai!?!? Sei fuoooriii!?!?! Guarda che ti gonfio. Ti ammazzo. Tanto adesso non devo neanche fare attenzione a tuo cognato, che ormai sono fottuto, e grazie a te! Ah, ma anche tu sei fottuta, lo sai, vero? Fooottuttaaaa!!!!"
CRASH!!!
Mi immagino la scena. Lei che lo guarda spaventata. Lui che prima sembra calmo, le dice quelle cose, poi le urla "fooottuttaaaa!!!!" lanciandole contro il vaso Ikea, che però, a causa della sua pessima mira, va a fracassarsi contro la vetrinetta del mobile bar.
Sento passi pesanti e veloci venire dalla mia parte. E' lui.
Apre il cassetto delle posate e comincia a rovistarci dentro, guardandosi con ansia alle spalle. Poi lo trova: il coltellaccio. Lo nasconde nei pantaloni, dietro la schiena, poi mi apre e si mette a spostare quelle due o tre cose che stanno al mio interno, cercando chissà cosa.
Entra anche lei.
"Che cazzo fai?"
"Voglio una birra."
Una birra, figurarsi! Pretende ancora di trovare una birra, dopo il modo in cui mi hanno trascurato in questi ultimi mesi.
"Niente da fare" - mi chiude ghignando a denti stretti.
Lei deve aver intuito le sue intenzioni perché non gli dà il tempo di voltarsi che gli si butta addosso. Cadono, gli si aggrappa al collo e lo inchioda a terra, contro il mio sportello del freezer. Comincia a strappargli i capelli e a morderlo sulla faccia. Lui urla, non riesce a divincolarsi.
A me pesano un po', sinceramente, ma non mi fanno male. Certo, non è il massimo averli appiccicati contro in quella maniera. Specie per lui, che puzza di gatto malato.
Continuano a sbattermi contro, mentre lottano.
A un certo punto qualcosa di strano.
Come, boh, delle scosse.
Il tavolo della stanza, che si sposta di mezzo metro.
Il quadro sulla parete di fronte, che si alza di mezzo metro.
I pochi e scaduti barattoli di yogurt che stanno al mio interno si ribaltano e rotolano da un piano all'altro, sempre più in basso. Mi si apre la porta. La pellicola trasparente che avvolge una mezza cipolla ormai marcia abbandona (finalmente!) l'angolino in cui si era nascosta, e scappa via, all'aria aperta.
Per me è quasi un deja vu...non capisco..anzi, sì! Adesso ricordo!
La prima volta che sono stato qui... quei due ragazzi in tuta da lavoro.
Il primo ricordo della mia vita... mi avevano appena attaccato alla corrente, quei due ragazzi che domandano "Va bene qui, signora?", e lei che chiede di spostarmi un po' più vicino all'angolo, ma non troppo, che ci deve stare anche la scopa.
Allora i due tipi mi prendono, mi abbracciano, mi fanno ondeggiare, mi muovono...sì, è proprio quella la sensazione, mi sto muovendo!
Ed è...bellissimo.
Vedo i loro volti terrorizzati, sono sempre a terra, sotto di me.
Lui è riuscito a prendere il coltellaccio. Lei gli tiene ancora le mani tra i capelli. Ma sembrano non lottare più, chissà perché.
Anzi, chissà perché un cazzo. Non mi interessa più niente di loro, io mi sto muovendo! Ed è bellissimo.
Vedo solo il pavimento e poco più. I loro stupidi volti sono vicinissimi, adesso. Ma non mi importa
CRASH!!!
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