Cediamo alle milioni di mail di fans sfegatate (nel senso che stanno tutti nel reparto malattie epatiche) e pubblichiamo la fine del racconto (la prima, imperdibile parte si legge qui). In verità, avevamo messo a punto un programma che prendeva 10 euro da chi volesse leggere, ma abu che non sapeva il finale, rimasto a corto di spiccioli, lo ha fatto esplodere. Ringraziatelo per questo finale gratis...
L’uomo con la testa grossa si chiamava Cod-P10 e proveniva da Kichnashi Vodka7, un pianeta lontano dalla Terra un numero di secoli luce equivalente a moltissimi zeri preceduti da un 7.
Cod-P10 proveniva dal futuro e per ovvie ragione aveva celato la sua vera identità.
Era fuggito dal suo pianeta e dalla sua epoca per rifarsi una vita. Tutti lo prendevano in giro per la sua testa minuscola, per la sua scarsa intelligenza, e lui non lo sopportava.
In effetti era meno intelligente dei suoi simili, i quali avevano una testa grande almeno il doppio della sua. Tutto ciò però non significava che Cod-P10 non potesse provare uguali sentimenti e soffrire delle continue discriminazioni di cui possono essere capaci gli abitanti del suo pianeta. Noti in tutta la galassia come “Quei bastardi di Kichnashi Vodka7”. O Più semplicemente come “Quei bastardi”.
Consideravano Cod-P10 talmente stupido da impedirgli con un’apposita legge di lavorare e partecipare attivamente alla vita della comunità. Gli garantivano una sorta di pensione a vita per potersi fare i fattacci suoi, senza disturbare. Una pensione a vita! Dovevano considerarlo davvero stupido, se pensiamo che “Quei bastardi” vivono in media dai 7mila ai 120milioni di anni.
Comprensibilmente, Cod-P10 trovava tutto ciò piuttosto umiliante. Questo però non gli impediva di passare le giornate a farsi effettivamente i fattacci suoi, a leggere, coltivare maggiorana, o a trastullarsi col suo doppio pene, senza disturbare nessuno.
In ogni caso era abbastanza annoiato, triste, solitario y final, ma sapeva che in qualche altro pianeta, in qualche altro tempo, sarebbe potuto risultare il più intelligente e il più testone di tutti.
Quindi, sfogliando un’ingiallita copia de “L’enciclopedia del Tutto cosmico, edizione per piccoli crani” si era imbattuto nella storia della Terra, aveva studiato a fondo il capitolo “I più famosi giochi a premi” ed elaborato il suo piano.
Venire a spassarsela qui vincendo a SuperMegaQuiz.
Il fatto che non abbia approfondito il capitolo “Scommesse sportive e come fare i soldi con i viaggi nel tempo” dimostra che “Quei bastardi” non avevano tutti i torti a considerarlo universalmente stupido.
Cod-P10 lasciò le mani di Arturo e si scostò, decidendo che lo avrebbe illuso ancora una volta, che avrebbe continuato a giocare con lui come il gatto fa col topo, fino all’ultimo momento. Il terrestre si precipitò a premere il pulsantone rosso, incurante del disprezzo con il quale il suo avversario si burlava spudoratamente di lui.
BZZZZ!!!
“Douglas Adams…11 maggio 2001, infarto!”
99 pari sul tabellone, pubblico in delirio, applausi registrati, ghigno malefico dell’uomo con la testa grossa.
“Attenzione! Attenzione gente! Novantanove a novantanove!” urlava il conduttore. “Incredibile, non si era mai vista una sfida così equilibrata a SuperMegaQuiz!”
Milioni di persone in tutto il paese erano sintonizzate sulla trasmissione, ipnotizzate dalla sfida che si era protratta per tutta la sera in un crescendo di tensione e colpi di scena. Qualcuno tifava per Arturo, qualcuno per l’uomo, o presunto tale, con la testa grossa. Qualcuno, a dirla tutta, era sintonizzato su “Sfanghiamola”. Ma si trattava solo di pochi pervertiti, probabilmente allergici al brivido e al fascino di una appassionante sfida culturale.
Era il momento della domanda decisiva e la domanda finale, l’ultimo nome di scrittore famoso morto negli ultimi 500 anni, arrivò. Secca, senza troppi preamboli.
“Federico Moccia”, scandì la voce del conduttore.
Arturo fece un movimento verso il pulsantone, poi si fermò bruscamente.
Cazzo, cazzo, cazzo. Pensò.
Federico Moccia.
Cod-P10 stava lì a fissarlo.
Arturo si rassegnò: non la sapeva.
Era assurdo, aveva passato mesi e mesi a memorizzare date e nomi, nomi e date. E motivi del decesso. Aveva nella sua testa migliaia di informazioni, perlopiù inutili, tutte legate allo scopo, al successo finale nella trasmissione. Conosceva i nomi e le date di morte di scrittori che avevano venduto anche una sola copia, di poeti che avevano prodotto anche un solo verso, neanche in rima.
E adesso andava a cadere su Federico Moccia. Il più grande scrittore degli ultimi secoli, forse di sempre.
In tutte le città del mondo c’era una piazza dedicata a Federico Moccia, l’uomo che aveva fatto innamorare decine di generazioni. Anche i genitori di Arturo, ironia della sorte, si erano innamorati grazie ai suoi libri. Non fosse stato per l’ultimo romanzo del grande scrittore, “Scusa, ma c’hai un bel culo”, Arturo probabilmente non sarebbe mai venuto al mondo.
A tutto questo pensava Arturo, al beffardo destino che si prendeva gioco di lui.
Dieci…nove…otto…
Sul grande monitor che regnava sopra le loro teste era iniziato il conto alla rovescia. Il pubblico mormorava e nelle case degli italiani erano molti i bocconi sospesi nell’aria, a pochi passi dalle fauci incredule e spalancate dei telespettatori.
L’alieno non stava affatto meglio del terrestre. Aveva giocato con il suo rivale e adesso ne pagava le conseguenze: non la sapeva neppure lui.
Sei…cinque…quattro…
Non poteva neanche più tornarsene sul suo pianeta e nel suo tempo. “Maledetto progresso tecnico-scientifico che viaggia a rilento! Maledette leggi dell’astrofisica probabilistica!” pensò tra sé e sé. Non fosse stato così stupido avrebbe potuto aspettare ancora qualche centinaio d’anni, prima di imbarcarsi in questa folle avventura. Avrebbe potuto aspettare la creazione di una nave del tempo capace di fare qualcosa di più di un solo semplice viaggio, e poi autodistruggersi. Purtroppo le continue vessazioni subìte quotidianamente sul suo pianeta avevano avuto la meglio su di lui, rendendolo troppo ansioso e portandolo a una partenza affrettata. “Maledetto desiderio di integrazione!” pensò tra sé e sé.
Aveva puntato tutto su quel piano, ed aveva miseramente fallito.
Tutto ciò però non contava più niente. E in fondo non aveva più molto spazio per emozioni o turbamenti, nella sua testa gigante (almeno secondo i parametri terrestri). Tra un orecchio e l’altro era quasi esclusivamente un deposito di dati, milioni di dati. Tra i quali le date di morte di qualche trilione di scrittori del pianeta Terra, assimilate grazie ad un SuperMegaComputer, da lui programmato per inserire nella sua testa tutti quei nomi associati a giorni, mesi e anni. In una maniera che avrebbe dovuto risultare infallibile.
Peccato per lui l’essersi scordato di un piccolo dettaglio: inserire nel programma del SuperMegaComputer anche i nomi di quegli scrittori che, con il passar dei secoli, la Grande Storia dell’Universo aveva radiato definitivamente dalla categoria “scrittori”, per ovvi motivi.
All’epoca della sua discesa in Terra ciò non era ancora avvenuto, e lui adesso si ritrovava a chiedersi: “Ma chi cazzo è, Federico Moccia?”
Tre…due…uno…
Solo, in un pianeta straniero e in un’epoca non sua, avrebbe accettato i giorni che sarebbero venuti con la dignità e la forza di ogni Kichnashiano che si rispetti.
Si vide inquadrato in un monitor. La sua testa era almeno il triplo rispetto a quella dei terrestri.
Tirò fuori la pistola laser ed incenerì tutti i presenti.
Richi Selva