Diario di un trasfertista

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Alexfor,graditissimo ospite, ci racconta il pendolarismo moderno. Il nuovo machesadafapecampà.

Musichina falsamente piacevole, stile new-age-post-moderno.

Oddio, che cazz’è?


La musichina lampeggia nel buio.


Chi diavolo sono io? Dove sono? Cos’è questa cosa che mi arriva alle orecchie?


La musichina lampeggiante e intermittente rivela l’esistenza di un cosiddetto smartphone markiato Nokia.


Chi sono io?...

Ah sì, sono Alessandro. Consulente, manager quarantadueenne, quasi separato, con l’hobb… Oh cazzo! L’aereo!

La realtà prende forma. La luce intermittente pennella via a tratti spessi il buio, rivelando oggetti che si conficcano nei miei occhi spenti. Un comodino. Una pila di libri. Una statuina del Buddha. Una abat-jour.

La accendo.

Chi sono io? Sono uno che non può permettersi un attimo di riposo supplementare. Devo alzarmi, sbarbarmi, docciarmi, piegarmi le camicie e farmi la valigia, indossare un abito da pinguino.

C’ho un aereo in cui devo infilarmi. Come tutte le cazzo di settimane.

Un sapore acido, tenue e scorbutico, mi storce la bocca, mentre violento i muscoli dorsali per issarmi dal letto. E’ il vino bevuto la sera prima per conciliarmi il sonno: si è rappreso nella cavità orale come sporco impossibile sulle piastrelle e attende una dose di Aquafresh o di Mastro Lindo che lo sciacqui via.

Sono le 5 del mattino, eppure ho i minuti contati.

C’è un sonno senza respiro che prosegue, mentre svolgo meccanicamente le azioni propedeutiche alla partenza. La certezza del web check in svolto la sera prima un poco mi rassicura.

Cravatte, boxer, calzini, camicie… c’è tutto. Via.

Una replica su Deejay mi costringe verso il parcheggio dell’aeroporto. Uno stronzo ignaro delle certezze del pendolare aeroportuale mi rallenta il passo.

Levati dal cazzo! Impara a vivere, prima di andare a prendere un aereo!”, penso fra un me assente ed un me dormiente.

Freddo. Trolley. Rumore di scarpe che sono le mie. Cielo buio di una notte mattutina. Ossa rotte e palpebre pesanti.

Sigarette, cappuccino decaffeinato – “devo dormire su quel cazzo di aereo”.

“Mi stampi la carta di imbarco, per favore”. “Bella signorinella”, chioso nella testa.

I signori della sicurezza mi appaiono tutti uguali. Una divisa anonima da guardia forestale, un
accento misto pugliese-bergamasco: “Carta d’imbarco, per favore”.

Eccola coglione. Fai bene a chiedermela. Uso passare in aeroporto al mattino presto per infrangere i vostri merdosi varchi di sicurezza come passatempo, solo per bullarmi con gli amici. Ma stavolta t’ho fregato”.

I pensieri cattivi di un mattino spento e già visto.

Mi chiederai di accenderti il computer, vero? Ma brutta testa di cazzo, cosa credi che ci metta nel computer, una bomba alla crema?

E invece, no. Stavolta passo indenne. Computer nella sua borsa, e via verso lo sciatto gate numero sarcazzo.

Gli spazi aperti dell’aeroporto rinnovato sono di un giallo spento. Mancano odori di qualunque tipo. Un coma sottile mi avvolge e mi sento uno zombie che cammina in cerca di un qualunque essere vivente.

Ma sono circondato solo da omini insulsi.

Possibile che neanche stamattina ci sia una fica con cui ammorbidirmi le occhiaie?

C’è una tipa, nascosta fra le pseudo-sedie di fronte al gate. Rientra esteticamente in una media quasi deprimente, ma in mezzo a quegli ominidi sembra Sharon Stone che si appresta ad accavallare le gambe in Basic Instinct.

Pullman. Aereo. Valigia e borsa computer nella cappelliera. Come al solito, sono salito fra i primi e mi dedico all’osservazione di quelli che entrano alla ricerca del loro giacilio.

Dai, fica, siediti di fianco a me

Ma come già sapevo, la fica mi oltrepassa. Del resto, io siedo come al solito al finestrino. Le fiche si siedono sempre al finestrino. Occupo uno dei loro posti.

Ed ecco l’ominide che si siede nel posto corridoio di fianco al mio.

Improvvisamente, sento le palpebre abbattersi al suolo e annerirsi del peso di mille tonnellate.

Massì, ma cosa me ne faccio della fica di fianco. Tanto non le rivolgerei parola. Sono timido, e soprattutto devo dormire

L’ominide apre una cosa da leggere. Non distinguo se è il Corriere della Sera o l’ultimo Ken Follett, ma che differenza fa?

Sfiora il mio gomito con il suo. E’ un contatto che mi disturba, ma mi dà anche un piccola e piacevole scossa elettrica.

Il finestrino non lo prendo per guardare di fuori. Lo prendo per appoggiarmi alla parete della carlinga.

Devo dormire. Io DEVO DORMIRE.

La mente viaggia veloce nella scatola cranica appoggiata alla parete bianca. La posizione è scomoda, i muscoli del collo si flettono in una posizione innaturale, sicuramente foriera di un temporaneo torcicollo.

Eppure, io devo dormire.

Attacca la litania dello steward:

“Ledis en gèntmen, ui udlài tu illustrèi samò desèifti echìmens o dis èrcraf…”

Ma come cazzo lo parlano, ‘sto inglese!

Devo dormire.

Aria calda e fredda insieme trasuda dagli sfiatatoi del piccolo Embraer che mi porta da Bergamo a Roma.

Occhi chiusi, buio del corpo vitreo illuminato dai riflessi bianchi e verdi oltre le palpebre. Rumore di movimenti del veicolo che cerca spazio per prendere il volo. Invoco le braccia di quel pirla vanesio di Morfeo, ma so che la pista è vicina.

Mi appare il ricordo di quando partivo qualche anno fa, per trasferte apparente simili. Ma non era il martedì che mi strappava verso il giovedì, era il lunedì che mi violentava verso il venerdì. Il sabato seguente, poi, sarebbe stato un triste riposo, e la domenica un’angosciante preparazione al lunedì successivo.

Era stato allora che avevo conosciuto il mostro nero. Quello che mi faceva vedere buio anche con gli occhi aperti, mi bloccava la gola, e mi faceva pregare, mentre l’aereo scaldava i motori, che cadesse, così che tutto finisse.

Ma oggi è diverso. Sono tranquillo. Riesco a notare le differenze, nel copione ripetuto. Registro e
annoto le tensioni ai polpacci. So che l’omino di fianco, seppur sempre omino, è diverso da quello della settimana precedente.

Dopo un rombo assordante si sale in un misto di azoto, ossigeno, ed altre sostanze gassose. Non lo vedo ma lo sento. Una leggera pressione alla bocca dello stomaco mi avverte. E pensare che un tempo era un macigno insopportabilmente terrorizzante.

Entro in un dormiveglia affannoso e faticoso. Sento annunci. Sogno hostess che passano di fianco offrendo caffè. Avverto un rimbalzo spesso di ruote elastiche sulla pista romana.

Cristo, già arrivato?

L’èrcraft si trasforma in un grosso autobus e trasporta noi passeggeri impotenti fino ad una certa
aerea di parcheggio. Io ho sempre gli occhi chiusi.

Una sensazione di forza e di spinta verso l’alto in una zona imbarazzante dei pantaloni si fa improvvisamente sentire. Per un attimo, percependo la presenza dell’ominide follettiano di fianco a me, mi sorge un dubbio:

Ehi, cazzo, mi vorrai mica far credere di essere ricchione?

Il dubbio svanisce in fretta. E’ solo una specie di riflesso condizionato, che suonati i 40 è bello sapere che ancora c’è, a quest’ora del mattino.

Prendo la valigia. Improvvisamente mi accorgo che c’è lui. Lui chi? Uno che conosco. Non posso reggere una qualunque conversazione. Devo evitarlo. Lo saluto con eleganza, e mi perdo nell’autobus che porta agli arrivi.

Mi ricordo di quando prendevo il treno, per andare all’università. Mi nascondevo dietro ai piloni sul marciapiede, terrorizzato all’idea di incontrare qualcuno con cui dover parlare. Strisciavo verso la zona dove sarebbe arrivato il culo del treno. Salivo di sottecchi. Mi sedevo nascosto, appoggiavo la testa e chiudevo sorridente gli occhi, felice di poter sprofondare nella scomodità della testiera del sedile.

Prendo l’auto a nolo. Gli impiegati mi sorridono lecchini.

Che cazzo succede a questi stronzi?”, mi chiedo.

“Ci può completare questo sondaggio? Ci servono fìdbec positivi”, mi dice l’impiegato paraculo.

Ah, ecco.

Lo schiavo che pulisce le auto è ancora più inspiegabilmente servile dell’impiegato. E dire che questi schiavi di solito li vedi solo quando l’auto la riconsegni, alla spasmodica ricerca di un graffio da addebitarti.

“Aspetti che le controllo se la macchina è a posto”

Ma sei impazzito? O forse ti sei reso conto che stanno per licenziarti, brutto negro?

E’ sicuramente la seconda che ho detto.

Parto. Esco dagli svincoli aeroportuali e mi inerpico in quelle stradine che solo a Roma ho visto. Sembra di essere in campagna, eppure sei a Roma. Sono strade che hanno nomi assurdi, Via della Pisana, dell’Imbrecciato, del Trullo, della Magliana, della Vignaccia, e altre amenità di questo genere.

In questa finta campagna cittadina crescono strane cose: arbusti incolti, stabili abbandonati, officine convenienti e, di quando in quando, negre di gomma.

Queste ultime attraggono la mia attenzione. Sembran finte, con il culo e le tette che si propagano irrealisticamente in direzioni opposte. E’ presto, sono solo le nove, eppure loro già sono montate di servizio.

Per un attimo un pensiero insensato mi attraversa gli emisferi.

E in una frazione di microsecondo già mi dico: “Ma sei scemo? Fra mezzora hai una riunione”.


alexfor

Ma tu sei fortunato... pensa che due giorni fa il mio compagno al finestrino (io mi siedo sempre sul corridoio), era costantino vitagliano. Dico solo questo.

Ieri mattina c'era Veltroni. Non al mio fianco, ma poco dietro. Ho vinto io.

Sappi che ho dedicato a questo pezzo la mia pausa sigaretta.
La mia pausa-sigaretta.
E stamattina ho letto il giornale, domani ho uno scritto, mercoledì un orale e andranno a cane entrambi quindi sono di pessimo umore.
Ma 'sto pezzo è proprio fico.

Mezzatazza, sono tutto bagnato.

Alex, questo pezzo è decisamente bello.
Lo stampo e me lo rileggo appena intorno a me si calma il "basso continuo" della tarda mattinata in città.
Luisetta

Bello. Ma suca.

Suca.

Ma Veltroni è quello che hai salutato con eleganza?

Silas... Ahahahahahah!!! No, quello era un altro. In realtà (non l'ho scritto), ci siamo evitati reciprocamente.

Luisetta, grazie.

Ragazzi di SV, vedo che non avete settato bene il filtro anti-suca.

Alex, suca

Mi sono emozionata tanto, e mi sono ritrovata in molto. Sei un grande, Ale. E' sconvolgente scoprire che porti i boxer.

Suca, bello!

Sei arrivato tardi alla riunione, vero?

(bandit)

Il mostro nero era John Locke.

Vuoi mettere Costantino con Veltroni????

Beh, dai forse hai ragione. hai vinto.

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