Arrivati a questo punto del terzo progetto collettivo, tanto vale pubblicare la prima cosa che ci veniva in mente. Tanto vale farvi leggere una cosa arrivata via email in forma praticamente anonima. Tanto vale far giudicare anche voi se daremo un'altra chance all'autore (autrice?). Tanto vale dare spazio a tantovale.
È quasi l’alba, fuori. La prima brina compare tra l’erba e sugli impermeabili dei pochi, timidi, passanti.
Tu scegli di lasciarti coccolare ancora un po’ dal tepore delle coperte, mentre lotti per conservare gli ultimi brandelli di un sogno destinato a dissolversi con le luci del giorno.
Il desiderio ti consuma ancora e dalla fonda notte dei ricordi ti viene incontro quel suo sguardo languido, penetrante, circospetto. Quel suo sguardo volitivo e ardente.
Accanto a te una donna, bruna, nuda, con la quale non ricordi di esserti addormentato, ieri sera.
Con gli occhi ancora chiusi, ti senti accarezzare la pelle. E cerchi lei, tra le pieghe della tua coscienza.
Lei è lì, coricata su un fianco, leggermente rannicchiata. Sembrerebbe infreddolita. Pallida.
Di quel pallore che era virtù della donna che amavi. Era nuda la donna che amavi e aveva tenuto, conoscendoti, i suoi gioielli sonori, e quell’addobbo sfarzoso simile la rendeva, nei loro giorni felici, alle schiave dei mori. E quando, nella danza, quel mondo sfavillante di metallo e pietra mandava un vivo tintinnire, tu eri rapito dall’estasi e amavi quelle cose che sanno la luce e il suono unire.
Era adagiata la tua donna e si lasciava amare. Dall’alto letto sorrideva altera, dolce come il mare che verso lei saliva, quasi fosse scogliera. Ti guardava un po’ vaga e sognante, come tigre ammansita, così candida e lasciva che per quel suo mutare nuove ebbrezze ti dava. E il suo braccio e la gamba e la coscia, flessuosi come un cigno, passavano stampandosi nei tuoi occhi sereni; e il suo ventre e i suoi seni, grappoli della vigna che è tua, si protendevano invitanti come crudeli sirene.
L’anima destavano dal riposo e violando la roccia di cristallo dove ella era, solitaria e quieta, la stanavano.
Era bella, la tua donna.
Come è bella lei, che se ne sta lì, in tutta la sua sensuale prorompenza. La bocca bramosa, conturbante, ospitale. Quella bocca che immagini disposta a concedersi a qualunque fantasia, pronta ad accogliere e ricevere ogni cosa.
Lei è lì, le stoffe che disegnano il corpo nudo, le pieghe del cotone solo apparentemente disposte in ordine casuale, ad ingabbiare la tua curiosità.
La tua mano scivola delicata sul collo e poi scompare tra i voluttuosi capelli, profumato e vellutato gioco per le tue dita, affamate di sensazioni. Mordendoti il labbro, non puoi evitare di stringerli e tirare, dolcemente ma con decisione.
Muto e lascivo acconsenti a che la tua essenza aderisca alla sua, avido di contatti e sospiri.
Insegui vorace la sua scia e ti perdi in terre misteriose e inviolate. Nuoti tra onde di sole, e lotti contro la forza del vento, che vorrebbe trascinarti via. Sei in viaggio al centro di te, rapito da evanescenti visioni, prive di spessore eppure così suadenti.
Un meraviglioso viaggio verso terre lontane, alla conquista di un prezioso talismano cui la tua anima sordida anela. Quando, dopo lungo peregrinare lo raggiungi, quando il là diventa qua, i tuoi sensi annegano in esso e tu vedi tutto il tuo essere abbandonarvisi, colmarsi della voluttà di un unico totalizzante desiderio.
Urli. E l’eco ti restituisce frammenti di te.
Il suo sguardo, tuo pugnale.
Com’è pallida, lei.
tantovale
Uau, racconti a sorpresa. Questo blog ha davvero mille risorse, tra cui l'appropriazione indebita.
Ci piacque. E ci arrapò anche, un po'.
;)
Tanto vale procedere con l'ammissione di colpa.
Scusate: i pomeriggi noiosi capitano a tutti.