Ricomincia l'anno, ricominciano le rotture di scatole e quindi non può mancare un nuovo post di SV.
Iniziamo un nuovo lavoro collettivo e diamo l'onere dell'apertura a Silas Flannery.
Silas Flannery
Iniziamo un nuovo lavoro collettivo e diamo l'onere dell'apertura a Silas Flannery.
La mescolanza è la chiave di tutto. Ecco perché ho scelto una città come Roma: non ti annoi mai. Facce diverse, diverse razze, diverse culture: è questa la specialità che rende ricco il mondo. O almeno questo ho pensato all'inizio, quando sono arrivato qui. Dalla provincia dell'impero sono arrivato: Raccuja, provincia di Messina, 1.200 abitanti scarsi nel bel mezzo del nulla, lontano da qualunque cosa sia divertente, da qualunque cosa valga la pena vedere.
Certo, sì, il parco dei Nebrodi. I suini neri, i salumi, qualche aquila ogni tanto: sai che palle? Qui, invece, tutto è sempre vario. Ti sei stufato dell'indiano? Oggi maghrebino. Anche quello: oggi Marocco, domani Tunisia, dopodomani Algeria. E poi si cambia: colombiano, messicano, slavo di qualche tipo. Non ti annoi mai, appunto: ogni giorno puoi fare finta di essere in un punto diverso del mondo.
Io non li capisco quelli della Lega: 'sti fascisti pretendono di preservare una razza pura che non esiste. "Aiutiamoli a casa loro", dicono, "l'Italia agli italiani" e così via: respingimenti, marce razziste, cose di questo genere. Per difendere cosa, poi? Gente che parla come Calderoli? Ignorantoni in camicia verde e col portafogli pieno, partite Iva che non vedono oltre il proprio naso e appestano l'Italia? Io, invece, vorrei che ci fossero meno italiani da queste parti: tutto sarebbe più semplice, più divertente… l'ho già detto più vario? Per questo mi sento di sinistra: per difendere la bellezza del mondo, per impedire che tutto sia omologato. "Radical chic" mi definirei, se avessi i soldi per frequentare i salotti: e allora, nell'attesa, mi diletto a contaminarmi. A cambiare Paese ogni giorno, pur rimanendo qui. "Multiculturalità", in qualche modo.
Oggi, ad esempio, ho scelto la Romania. Un must, di questi tempi: la Romania va di moda, soprattutto adesso che è entrata in Europa "si porta" solo la Romania. "La Romania è il nuovo nero", mi dico sempre. E poi diciamolo: le rumene sono carine. Molto carine. Beh, comunque: sono qui, al buio, a fumare l'ultima sigaretta. L'ultima prima di passare all'azione: l'aspetto qui, nell'androne, dove l'ho vista ieri. Eccola, arriva: un coltello alla gola, da dietro, una mano sulla bocca. Le alzo la gonna, lentamente, poi la penetro con violenza. Piange, e io mi eccito ancora di più: mi piace sentirla mia, strapparle le mutande mentre lei si sente impotente, imprimerle il mio marchio per sempre. Le mutande mi restano in mano: mutande rosse, di pizzo, da vera porca. Esco un istante prima di venire: non devo lasciare tracce, non devo farlo. Scappo.
Grida. Lo sento da lontano: la sua voce riempie l'androne, la strada buia, sbatte contro le finestre chiuse. Ecco: mi sembra di essere a Raccuja, quando vedo queste cose. Cazzo: c'è una donna che grida, c'è qualcuno in pericolo, e voi, borghesi ripieni di merda, cosa fate? Vi rintanate dentro i vostri buchi caldi, dentro le vostre case sicure, al riparo dalla paura e dal rischio? La Lega: ecco cosa meritate. Cos'è? Avete paura che qualcuno spari? C'è una donna che grida, cazzo, come minimo è uno stupro. La vostra Chiesa, il vostro Dio non vi impone di soccorrerla?
Ci penso io. La trovo nell'androne, in lacrime, seminuda. L'aiuto a rialzarsi, le chiedo cosa sia successo.
- È… è… stato… improvviso.
- Lo so, si calmi. L'ha visto?
- Alla… gola. Un coltello.
- Ma l'ha visto?
- No, non lo so. Da dietro, spuntato da dietro. Dio… mio…
Prendo il telefono.
- Pronto?
- …
- Sì, uno stupro, venite.
- …
- Via Genova, numero… 17.
- …
- No, è scappato.
- …
- Sì, io l'ho visto. Mi è sembrato un rumeno.
Riattacco, aspetto la polizia. Testimonio, mi metto a disposizione. Sono un cittadino modello, io.